Chi ha paura dell'Uomo nero?

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    Pollicino 4 - Chi ha paura dell'Uomo nero?


    La piccola Eva Birkey non era mai stata paurosa, figuratevi che ogni volta che cadeva, fingeva sempre di non essersi fatta male e rialzandosi mormorava svelta e sorridente:
    – Nulla, non è nulla, non mi sono fatta niente!

    A volte, dopo un rimprovero provocato da qualche sua birbonata, invece di piangere come avrebbe fatto qualsiasi altra bambina di sette anni, reagiva chiudendosi in un serio mutismo ignorando l'intero mondo che la circondava, e allora non c'erano parole dolci né tenerezze che riuscivano a convincerla a sorridere.
    – Ha temperamento e un caratterino da prendere con le molle, – Diceva di lei la sua maestra, che però se la coccolava aggiungendo – ma è soltanto una deliziosa bambina
    E doveva esser vero, perché sebbene qualche altra maestra la guardasse con un senso d'ingiustificata sufficienza, i suoi compagni di classe l'adoravano per quel suo essere sempre pronta ad aiutare chiunque.
    Altre volte, quel suo caratterino, la spingeva a prendersi colpe di cui non aveva nessuna responsabilità…ma lei era fatta così, bisognava soltanto capirla.

    Eppure, a dispetto di quel suo caratterino fermo e deciso, c'era un personaggio che faceva paura perfino a lei; «L’uomo nero».
    Forse aveva imparato a temerlo perché in realtà non l'aveva mai visto, oppure semplicemente perché aveva sentito raccontare alcune storie che ne narravano le gesta, o forse, chissà, molto più semplicemente la verità resterà per sempre nascosta nella sua piccola mente.

    Sembra impossibile, ma ciò che appartiene ai sogni più difficili di quella età, sono le immagini o i personaggi che nascono unicamente dalla loro immaginazione; vale a dire quelle cose mai realmente viste e assolutamente impossibili, ma che assurgono così misteriose e inspiegabili, da affascinare meravigliosamente i bambini.

    E la piccola Eva non era poi così diversa dagli altri bambini, poiché ogni volta che assumeva una delle sue posizioni intransigenti, alla minima minaccia di chiamare «l’uomo nero», lei prima spalancava i suoi grandi occhioni, poi, allargando sul volto un sorriso beffardo si trasformava nella più dolce e tranquilla bambina.
    Da tempo immemorabile «l’uomo nero» occupa le fantasie dei bambini essendo divenuto l'agente regolatore del traffico disordinato che si svolge nelle loro piccole menti bizzarre.
    Si dice loro che porta via i bambini più ribelli in un sacco, per andare poi a gettarli nel mare. (Ma nessuno si è mai preoccupato di chiedersi che semmai questa storia fosse vera, la Terra dovrebbe risultare spopolata, mentre il mare sarebbe colmo di bambini festanti.)
    La cosa che può sorprendere è che loro, i bambini, non chiedono mai di vederlo, ed è la fortuna più grande che noi adulti abbiamo mai avuto, poiché se i bambini dovessero fare una simile richiesta, probabilmente con lui sarebbe finita e bisognerebbe inventare un altro personaggio al quale assegnare l’onere del disagio.

    Cosa in verità difficilissima, poiché noi adulti non mostriamo mai sufficiente fantasia, preferendo ricorrere sempre alle vecchie panzane.
    In un'antica fiaba della cultura ebraica, si racconta che quella figura nera sia stata inventata da Noè per tenere a freno i suoi nipoti, ed è forse per questo motivo, visto che ha sempre funzionato, che in seguito mai nessuno si è preso il disturbo di sostituirla con qualcosa di più moderno.

    Difatti, quell'inquietante figura si è sempre trasformata in una specie di talismano, un toccasana al quale ogni famiglia si è sempre appellata nei momenti in cui i loro bambini non vogliono sentire ragioni.
    Nel mio intimo l'ho sempre ritenuta una sciocchezza e soprattutto una meschinità; però di tanto in tanto accade che qualche eccezione tenti di consolidarne la validità, e neanche a dirlo, un giorno alla piccola Eva venne in mente di chiedere a suo padre di vedere «l’uomo nero».

    Ecco fatto! La frittata era bella e servita in tavola!

    Un po’ intimidita, ma con molta fermezza, Eva chiese allo stupefatto genitore se avesse potuto incontrarlo di persona.
    Al buon papà, forse intuendo che sarebbe stato più arduo farle cambiare idea che accettare la bizzarra richiesta, non restò altro che accoglierla.
    Immediatamente dopo aver preso l'impegno, il buon papà si rese conto che se non voleva perdere l’alleato migliore, doveva trovare la maniera di rendere visibile il crudele personaggio… Già! Ma dove trovare qualcuno disposto ad impersonare «l’uomo nero»?

    Dal giorno della richiesta il buon papà lasciò trascorrere del tempo, un po’ perché gli impegni di lavoro gli sottraevano molto del suo tempo, ma soprattutto perché si era reso conto che l'impresa era assai più complicata di quel che avesse supposto.
    Pensò di rivolgersi al fabbro; lui era esageratamente sporco e aveva la faccia sempre nera di fuliggine, ma purtroppo l’aveva anche bella tonda e troppo bonaria, e soprattutto s'inchinava rispettoso perfino alla piccola Eva, quindi quale impressione poteva fare su di una bambina abituata a ruzzolarsi per terra per delle ore?
    Pensò al baffuto e grosso brigadiere dei carabinieri.
    Quell’omone grande e grosso era un altro discreto candidato, ma si vedeva troppo spesso a passeggio, trascinandosi dietro due mocciosi maleducati e noiosi.
    D’altra parte non andava bene neppure l'uomo spettro (l'uomo che anni prima egli stesso gli aveva imposto una settimana di guardina per aver impaurito, di notte, una ragazza travestendosi da spettro).
    Cribbio! Lui si che ce l'aveva l’aspetto terribile, però partiva con un handicap notevole; cominciava a ridere la mattina appena alzato fin quando non andava a letto, senza contare che tutti i ragazzi del paese si onoravano della sua amicizia, ed erano molto fieri di chiamarlo con quel suo strano soprannome: «Ah! ah! ah!».

    Certo che queste prime difficoltà fecero comprendere al buon papà, che in fondo gli uomini del paese avevano tutti un aspetto troppo pacifico, e di conseguenza non era proprio il caso d’insistere in quella direzione, e constatato che gli uomini sembravano essere tanto più mansueti delle donne, pensò alla possibilità di una «donna nera», ma l'idea gli parve troppo bizzarra e forse un tantino rischiosa nella realizzazione per farne parola con sua moglie.
    Perfino i barboni di quell'amabilissimo paese dovevano essere nati tutti aristocratici blasonati, giacché avevano tutti quel modo buffo di camuffarsi da innocui borghesi, con i calzoni troppo corti e l'incedere saltellante.

    Nulla da fare! Ormai era proprio nei guai e a quel punto se avesse ancora detto – «Bada che chiamo l’uomo nero» – e la bambina avesse risposto di chiamarlo, sarebbe crollato tutto un tenace lavoro d’anni ed anni.

    Per la verità aveva perfino pensato di trasformarsi egli stesso nell’uomo nero, tant’è che davanti lo specchio aveva provato e riprovato a fare il viso cattivo indossando un gran paio di baffi posticci, ma subito arrossiva e doveva smetterla in fretta, soprattutto perché se la piccola Eva lo avesse sorpreso, sarebbe sicuramente scoppiata a ridere divertita.

    Passò del tempo e infine giunse la prima domenica di primavera. Una di quelle giornate in cui ci si può divertire a strappare i veli delle cose misteriose, ed ecco che improvvisamente, mentre il buon papà passeggiava al braccio di sua moglie, con la piccola Eva stretta alla sua mano, vide venire verso di loro «l’uomo nero» in carne ed ossa.
    Si trattava certamente dell’uomo ideale, di quelli che non si scordano più: ossuto, giallo in volto, con un lungo naso a becco e le labbra piegate in un ghigno sottile. Indossava un abito sgualcito e nero come la notte, che rendeva la sua figura ancor più triste di quanto fosse in realtà.
    – Quello, – Gli sussurrò sottovoce sua moglie – era il professore di latino del liceo, ma siccome aveva la cattiva abitudine di battere i ragazzi è stato messo anticipatamente in pensione
    «Una vera anima dannata» – Pensò il buon papà, ma a lui interessava l’aspetto dell’uomo e non i suoi vizietti.
    – Nessuno l'ha mai visto sorridere – Aggiunse sottovoce sua moglie

    In un primo momento il buon papà ebbe qualche dubbio se mostrarlo alla bambina, ma quando si accorse che Eva lo aveva già adocchiato e sul suo faccino si era abbozzata una certa espressione preoccupata, egli, per una delle tante incomprensibili vanità di certi papà, ma principalmente per evitare che alla fine dovesse ammettere di aver detto una grossa bugia, non appena l'uomo fu a pochi metri da loro, egli disse sottovoce alla bambina:
    – Vedi quell’uomo cara? Ebbene quello è «l’uomo nero»
    La piccina sollevò su di lui uno sguardo sgomento
    – Babbo… ma è terribile! – Sussurrò aggrappandosi alla sua mano
    A quel punto, certo ormai della sua vittoria, il buon papà mormorò con troppa sciocca fierezza nella voce – Vedi che avevo ragione? I papà non dicono mai bugie

    Eva, che non aveva staccato un solo istante gli occhi da quella faccia di gufo stravolto, s’irrigidì, e lui, il buon papà, non tardò a darsi dell'idiota per averle causato quell'agitazione.
    «Qualche volta, dovette pensare a sua parziale giustificazione, è molto difficile comportarsi in modo intelligente, perfino i giudici credendo di scherzare possono combinare dei grossi guai. La tristezza, ad esempio, i figli la imparano dai genitori che non si curano di nascondere le loro preoccupazioni»

    Per tutto il resto della passeggiata Eva tacque tenendosi sempre ben stretta alla mano del padre, e qualche volta osò perfino lanciare alle proprie spalle brevissimi sguardi.
    Nel frattempo, il padre, considerato che forse era stato un grosso errore quello d’averle mostrato «l’uomo nero», decise che da allora, l'unico rimedio sarebbe stato quello di non parlarne più.

    Ma tutto si paga in questa vita, poiché un giorno «l’uomo nero» andò a far visita al giudice Birkey, direttamente nella sua casa.

    Era stato messo in pensione anticipata, e questo in realtà era stato come averlo messo in ristrettezze economiche, poiché non è cosa nuova a nessuno che vivere di pensione è alquanto difficile.
    Ed ora il poveretto era alla ricerca di una nuova occupazione che potesse integrare la magra pensione.
    Si era rivolto a tutto il paese, ma tutti si erano scusati di non avere conoscenze, e allora, preso dalla disperazione era salito verso quella casa sulla collina, per non lasciare nulla d'intentato.

    Il giudice Birkey, ovvero il papà della piccola Eva, era perfettamente al corrente dello scopo di quella visita, e pur sapendo che non avrebbe potuto far nulla per risolvere il problema, l'aveva tuttavia ricevuto per correttezza, ma mentre l’uomo parlava illustrando le sue difficoltà, egli cominciò a temere che potesse entrare la bambina nella stanza, tanto più che dal giorno che aveva visto «l’uomo nero», la piccina era divenuta buonissima e nessuno in casa aveva più osato nominare neppure per giuoco l'odiosa figura.
    «L’uomo nero» parlava a scatti come se fosse già furioso di dover chiedere un favore ad un giudice, e quando ricordava ciò che gli era stato riservato, più di un’imprecazione gli sfuggì dalle labbra.
    Per timore che s'infuriasse del tutto, il padrone di casa promise di interessarsi al suo problema, anzi gli promise che avrebbe provveduto senz'altro a trovare un rimedio alle sue necessità.

    «L’uomo nero» si limitò a ringraziare a bassa voce e si alzò con il volto più disteso. Aprì da solo la porta dello studio per uscirne…e si trovò davanti alla bambina che in quel momento stava entrando.
    Lei lo riconobbe immediatamente. Lo guardò per qualche istante e subito dopo si volse verso il padre con occhi grandissimi di una serietà indicibile, quindi tornò a fissare «l’uomo nero», che teso com'era chiese in tono cupo alla piccola:
    – Cos'hai da guardare? Mi conosci?
    – Sì,– Rispose la piccola con miracolosa tranquillità – sei «l’uomo nero»
    L'uomo spalancò gli occhi e scosse il capo, ma poi parve comprendere, e allora, voltatosi verso il padre sogghignò
    – Servo anche a questo, vero?
    Poi, tornato a guardare la bambina, le chiese ancora con un tono di voce terribile
    – E tu perché non scappi? Non hai paura che ti chiuda in un sacco?
    Eva restò un attimo perplessa, alzò le spalle e rispose con la sua vocina coraggiosa e fiera.
    – E tu perché non vai fuori di casa mia? Non sono più una bambina cattiva!

    L'uomo ne fu incantato.
    Sorrise e improvvisamente parve che tutta la meschinità del suo volto sparisse.
    Ora il suo sorriso aveva l'ingenuità delle cose nuove, era maldestro e puro come la prima carezza.
    – Brava, – sussurrò con voce sottile – io non amo i bambini sciocchi. Perché non basta essere bambini buoni, bisogna almeno avere un gran coraggio come l'hai tu!

    Poi, come se temesse di cedere all'ilarità, sparì oltre la porta.

    Nella stanza ci fu un lungo silenzio, poi, mentre Eva si diresse nell'angolino dove erano riposti i suoi giochi, suo padre riprese il lavoro alla scrivania, osservando di tanto in tanto la sua piccola e coraggiosa Eva.
    Anche lei per un istante distolse l’attenzione dalle sue bambole, guardò suo padre e notando il sorriso imbarazzato sulle sue labbra, gli inviò un bacio con la mano, poi tornò ai suoi giochi e prese a canticchiare felice una ninnananna.

    Finalmente si era dileguato un cattivo fantasma, e con lui era svanita una grossa bugia.

     
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